Il nome è la religione dei graffiti.
Cay 161
Stringo il cappuccio della felpa e respiro l’odore chimico della bomboletta, una Montana hardcore, più di quindici anni dopo la fine della mia brevissima e mai particolarmente convinta carriera di writer. Avrò avuto sì e no sedici anni, e l’episodio culminante di quella breve epoca fu la fuga da una Punto piena di poliziotti in borghese. Eravamo tre, io scappai in bici prendendo in pieno un marciapiede alto trenta centimetri a quaranta all’ora e distrussi il cerchione davanti senza che questo riuscisse a fermarmi. Uno dei miei amici girato l’angolo si lanciò a pesce dentro un bidone dell’immondizia, mentre l’altro, quello più scuro (i casi della vita), venne fermato. O meglio, si lanciarono tutti su di lui, facilitandoci la fuga. Per sua fortuna venne fuori che era l’antidroga. Pensavano fossimo spacciatori e quando videro il graffito, un orribile puppett dai tratti che volevano essere loschi e gangsta, ma erano soprattutto brutti, si misero a ridere.
In compenso ancora oggi mio padre, che ignora la storia, sostiene che rompo le bici: «Come quando hai distrutto un cerchione perché sei troppo pigro per scendere quando incontri un marciapiede». Dopo tutto questo tempo potrei raccontargli la verità, ma in fondo sarebbe troppo faticoso, il che in un senso più ampio gli dà ragione.
Rispetto a quell’epoca d’incoscienza adolescenziale e pedalate adrenaliniche, l’operazione in cui mi ritrovo nell’autunno del 2014 ha più spiccati caratteri militari. Assieme a un writer e a un fotografo stiamo saltando dalla massicciata di un ponte direttamente dentro un deposito di Trenitalia, e tutto quello che riesco a pensare è un titolo, “Giornalista rimane paralizzato durante un servizio sul writing”. Eppure l’unico modo per entrare è quello. Marco, che ovviamente non si chiama davvero così, ha preparato tutto nei dettagli. Ha vent’otto anni, per sua stessa ammissione tanti per un writer ancora in attività sui treni. Siamo nella sua yard, e una delle richieste per acconsentire a farsi accompagnare è stata la riservatezza assoluta sul nome della città, Basti quindi dire che siamo nella pianura Padana. Dopo nemmeno dieci minuti Marco ha finito di tracciare il perimetro del pezzo, e si appresta a cominciare il riempimento. Con lo sfondo, la ridefinizione dei contorni a negativo e i riflessi, ci vorranno altri venti minuti buoni. Molto più tempo che c’è voluto per arrivare fino a qua, sui binari alle spalle di un writer in azione.
È iniziato tutto un paio di mesi prima. Chi non lavora per i giornali forse immagina che il reclutamento di un nuovo autore passi da una serie di auliche conversazioni su come giungere ad un’apollinea convergenza fra letteratura e informazione,e soddisfare così un pubblico ugualmente avido di novità e sperimentazione. Nella realtà le cose sono più sbrigative e brutali, simili a un dialogo fra idraulici. Idraulici cresciuti da un branco di lupi. Continua su STORIE DAL MONDO NUOVO ( ADELPHI)