Sabato 25 novembre alle ore 17 sarò alla Triennale di Milano per un dialogo con O’Hagan intitolato “Vite segrete e identità digitali” nell’ambito di #Studiointriennale.
Articolo pubblicato su La Stampa – 11.11.17.
Provate a immaginare la prossima polemica online, probabilmente non riuscirete ad indovinarne il contenuto, ma avete buone possibilità di sapere, fin da ora, come si svilupperà. Ci sarà un forte presa di posizione di stampo morale contro una persona (pubblica o fino a quel momento sconosciuta, è quasi indifferente), seguirà un linciaggio digitale poi la notizia uscirà dalla bolla di pensiero unilaterale in cui ha preso forma e arriverà a qualcuno che prenderà con forza le parti dell’accusato. A chiusura del ciclo qualcun altro farà notare che questo sviluppo, compreso anche il suo commento, è il frutto della ferrea legge che regolamenta ogni “flame” ovvero di ogni polemica su internet. A questo punto si passerà al prossimo rogo rituale.
In altri termini ogni possibile valore di verità di una proposizione è contenuto ed esplicitato di per sé stesso appena la proposizione entra nel web. Estremizzando un po’ e guardando il tutto da una distanza sufficiente, è la notte dove tutti gli status sono veri e falsi contemporaneamente. Si potrebbe obbiettare che in fondo questa è sempre stata la struttura di ogni dibattito, ma l’accelerazione del tempo, l’universalità dell’accesso e l’incessante ripetizione del processo, sono cose che solo internet rende possibili e portano la crisi del concetto di verità ad un livello inedito.
Sarebbe materia per diversi saggi, ma Andrew O’Hagan in La vita segreta utilizza un approccio probabilmente più efficace, considerato lo stato di disgregazione del discorso, e scrive tre exempla sul tema dell’identità. Se il discorso pubblico, afflitto da bulimia digitale, non gode di ottima salute, cosa dire del concetto stesso di identità?
La vita segreta di Andrew O’Hagan
O’Hagan affianca per lungo tempo tre persone che esemplificano, appunto, una parte importante dello spirito d’internet: il fondatore di WikiLeaks Julian Assange, il presunto Satoshi Nakamoto (Craig Wright) ovvero il misterioso inventore del Bitcoin e della Blockchain – una tecnologia che oggi viene considerata dagli investitori l’equivalente di internet negli anni ’90 – , e Ronnie Pinn, un’identità totalmente fittizia creata da O’Hagan a partire dal certificato di nascita di un ragazzo morto in giovane età, un avatar che si rivelerà in grado di comprare marjuana, eroina ed armi sul deep web, così come di avere amici su facebook e un piccolo manipolo di follower su twitter.
Il lavoro di ricerca di O’Hagan è oggettivamente imponente, così come lo è la massa di dati che si trova a maneggiare, informazioni che spesso non sono facili da comunicare in una forma non specialistica, ma a parte qualche rallentamento, soprattutto nel pezzo sul presunto Satoshi, la capacità espositiva dello scrittore scozzese è notevole. A fuoco appaiono soprattutto le osservazioni attorno al tema dell’io nel tempo del web – la rete – sostiene lo scrittore – ha privato la letteratura del monopolio sul tema classico del “doppio”, scalandolo, per usare un termine caro al mondo digitale, a questione del “multiplo”.
Così il militante Assange si rivela un piccolo despota, incoerente e viziato, perennemente in guerra con gli esponenti della sua fazione, pubblicamente è un simbolo della trasparenza assoluta ma privatamente è scorretto e ossessionato dal controllo, una sorta di rovescio grottesco delle istituzioni che attacca. O’Hagan è bravo abbastanza da far sorgere il dubbio che Assange giochi semplicemente un’altra partita, quella in cui ogni azione e ogni frase nel mondo reale sono pensati solo come armi da brandire su twitter e sulle altre arene digitali, lì dove si gioca la battaglia per il consenso attorno ai princìpi generali. Lo fa passando con indifferenza sopra le persone reali, incapaci di fornire la stessa ricompensa adrenalinica di un plebiscito digitale.
Più interessante ancora è la figura di Craig Wright, costretto da alcune disavventure economiche a rivelare la sua identità di Satoshi Nakamoto, o quanto meno di membro della squadra che ha creato Satoshi. Nel farlo è ossessionato dalle persone che non crederanno alla rivelazione, sa di avere un pessimo carattere, pressoché nessun carisma e di non essere complessivamente all’altezza del mito di Satoshi e incomincia così a sabotarsi in maniera sistematica. Scisso fra diverse identità, tra il desiderio di rimanere nascosto e quello di ricevere riconoscimento, prova il desiderio di primeggiare ma sempre attraverso il filtro di sicurezza di un computer.
Il libro di O’Hagan è soprattutto questo, la storia di persone prive di capacità sociali (o addirittura inesistenti) che grazie alla conoscenza della macchina raggiungono un potere enorme sul resto dell’umanità, eppure trovano il loro vero sé solo davanti ad uno schermo, perché solo la macchina tutela la loro natura molteplice e gli permette di essere contemporaneamente una cosa e il suo contrario.